26.11.2017 SAN JOSE’ SANCHEZ DEL RIO MARTIRE DI 14 ANNI

 
 
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Sahuayo, Messico, 28 marzo 1913 – 10 febbraio 1928

José Sánchez del Río, nato a Sahuayo in Messico da una famiglia solidamente cristiana, emigrò ancora piccolo a Guadalajara, dove ricevette la Prima Comunione e si distinse per la sua devozione mariana. A seguito della promulgazione delle leggi anticlericali da parte del presidente Plutarco Elías Calles, si formò l’esercito popolare dei “cristeros”, cui si unirono anche i due fratelli di José, ma a lui, tredicenne, fu impedito. Visitando la tomba dell’avvocato Anacleto González Flores, chiese a Dio di poter morire in difesa della fede come lui. Diventato quindi portabandiera dell’esercito cristero, venne catturato e messo in carcere, poi rinchiuso nel battistero della chiesa di San Giacomo apostolo a Sahuayo, la sua parrocchia. Rifiutò le proposte di liberazione, determinato a dare la sua vita fino in fondo. Torturato quasi a morte, fu ucciso nel cimitero di Sahuayo il 10 febbraio 1928, a quattordici anni. È stato beatificato il 20 novembre 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI, inserito in un gruppo di 13 martiri messicani, nel quale era compreso anche il già citato Anacleto González Flores. È stato quindi canonizzato domenica 16 ottobre 2016 da papa Francesco, insieme ad altri sei Beati. I suoi resti mortali sono venerati dal 1996 sotto un altare laterale della chiesa di San Giacomo a Sahuayo.

 

I primi anni
José Sánchez del Río è nato il 28 marzo 1913 a Sahuayo, nello stato di Michoacán, uno dei trentuno che compongono il Messico. I suoi genitori, Macario Sánchez e María del Río, hanno educato lui e gli altri tre figli – è il terzogenito – nel pieno rispetto della fede cattolica.
Avverte quasi subito il peso di una situazione politica decisamente instabile: a causa della grave miseria in cui versa la sua famiglia, deve emigrare a Guadalajara proprio poco dopo che, nel 1917, è entrata in vigore una nuova Costituzione. I suoi articoli tradiscono un’estrema intolleranza contro la Chiesa cattolica, che si traduce in vari atti sporadici, almeno per il momento.
Intanto Joselito, come lo soprannominano in famiglia, riceve la Prima Comunione e prosegue nella propria formazione. In essa gioca un ruolo importante la sua appartenenza all’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana, una vera e propria avanguardia contro la crescente propaganda antireligiosa.

La guerra dei “cristeros”
Nel 1926 le intenzioni del presidente Plutarco Elías Calles diventano palesi: viene esplicitamente proibita per legge ogni forma di aggregazione ecclesiale, i sacerdoti stranieri vengono espulsi dal Paese, le scuole e alcune opere caritative vengono chiuse. Per ordine di papa Pio XI, le porte delle chiese vengono serrate, a causa dell’impossibilità di amministrare i sacramenti, almeno in maniera palese.
Ma i cattolici messicani non stanno certo fermi. Per iniziativa di alcuni laici, sorge quindi la Lega in Difesa della Libertà Religiosa, i cui membri, pur deplorando la guerra, decidono d’imbracciare le armi per scendere sullo stesso campo di chi vuole limitare la loro libertà. Al grido di «Viva Cristo Re», per cui vengono dispregiativamente chiamati “cristorreyeros” e più tardi “cristeros”, questi combattenti iniziano a moltiplicare i loro interventi specialmente negli Stati del Messico centrale.

La grazia invocata del martirio
Anche i fratelli maggiori di José, Macario e Miguel, chiedono e ottengono dai genitori di entrare nell’esercito volontario, agli ordini del generale Ignacio Sánchez Ramírez. A lui, invece, non è concesso: sembra che, avendo poco più di tredici anni, non possa essere un autentico soldato di Cristo, sebbene sia già cresimato.
Si sente quasi in colpa, confrontandosi con l’esempio dell’avvocato Anacleto González Flores, che aveva dovuto accettare l’intervento armato, ma era stato arrestato e torturato a morte. È pregando sulla sua tomba che gli viene da chiedere, quasi spontaneamente, la grazia del martirio. Insiste quindi ancora una volta con sua madre: «Non è mai stato così facile guadagnarsi il cielo come adesso», la supplica.

Portabandiera dell’esercito cristero
La sua insistenza viene premiata: nel 1927 José entra nelle fila dei cristeros sotto gli ordini del generale Prudencio Mendoza, il cui gruppo confluisce in quello del già citato generale Rubén Guízar Morfín, di stanza a Cotija.
Il suo compito è quello di attendente alle truppe, ma in seguito, grazie alla sua disciplina, alla sua religiosità e alla sua dedizione alla causa, diventa trombettista e portabandiera. Per proteggere la sua famiglia, chiede di farsi chiamare José Luis.

La battaglia di Cotija
Nella battaglia di Cotija, il 6 febbraio 1928, il cavallo del generale Guízar Morfín viene ferito a morte. José, che lo affianca, smonta dalla propria cavalcatura e gliela offre, dicendo: «La vostra vita è più utile della mia». L’uomo, seppur titubante, accetta.
Il ragazzo, quindi, spara per coprirgli le spalle, finché resta senza nemmeno un colpo in canna. Diventa quindi facile preda da parte dell’esercito federale, che cattura lui e Lorenzo, un giovanissimo indio.

In prigione
I due ragazzi quindi vengono ammanettati e spintonati a forza d’insulti; José, intanto, prega per chiedere la forza necessaria di sopportare. Un primo indizio della sua perseveranza appare quando, richiesto di entrare nell’esercito rivale per avere salva la vita, ribatte: «Piuttosto morto! Sono suo nemico, mi fucili!».
Viene quindi tradotto nel carcere di Cotija. Nella prigione, buia e fetida, al ragazzo torna in mente sua madre e chiede carta e inchiostro per scriverle. «Mia cara mamma», annota, «sono stato fatto prigioniero in combattimento oggi. Credo di stare per morire, ma non importa, mamma. Rassegnati alla volontà di Dio. Io muoio molto contento, perché muoio in prima linea, a fianco di Nostro Signore. Non affliggerti per la mia morte, questo mi dispiace: piuttosto, di’ agli altri miei fratelli che seguano l’esempio del più piccolo e tu fa’ la volontà di Dio. Abbi coraggio e mandami la tua benedizione insieme a quella di mio padre. Salutami tutti per l’ultima volta e tu ricevi per ultimo il cuore di tuo figlio che ti vuole tanto bene e che desiderava vederti prima di morire. José Sánchez del Río».

Niente riscatto per un soldato di Cristo
Il 7 febbraio 1928 i due prigionieri vengono condotti a Sahuayo, sotto la custodia del deputato federale Rafael Picazo Sánchez, padrino di José e amico della sua famiglia. Per cercare di salvarlo, gli offre due possibilità: o ricevere del denaro per fuggire all’estero, o entrare nel collegio militare, per proseguire la carriera delle armi.
Al suo rifiuto, il padrino inizia a pensare alla possibilità di chiedere un riscatto alla famiglia. Tuttavia, quando il padre del ragazzo si presenta con il denaro, si sente rispondere dal figlio di non dover sborsare nemmeno un centesimo: lui ha già offerto la sua vita a Dio.

Rinchiuso nella chiesa di San Giacomo
Intanto, José è stato rinchiuso nella chiesa di San Giacomo apostolo, dove razzolano liberamente alcuni galli da combattimento, fatti arrivare apposta dal Canada, mentre il cavallo del deputato Picazo vi è custodito neanche fosse in una stalla. Irritato da quell’ennesimo spregio, José riesce ad allentare le corde che lo tengono legato: uccide tutti gli animali, cavallo incluso.
L’indomani risponde al suo padrino, infuriato: «La casa di Dio è per venire a pregare, non è un rifugio per animali». Tanto basta perché venga condannato ad assistere all’impiccagione del suo compagno di prigionia, che tuttavia non muore e rientra nell’esercito cristero.
José viene quindi rinchiuso nel battistero, quello stesso dove, il 3 aprile 1913, aveva ricevuto il Battesimo. Tramite una finestrella riesce a comunicare con l’esterno e trascorre il suo tempo pregando il Rosario e cantando. Riesce anche a ricevere le sue ultime Comunioni, con le ostie nascoste nel cibo che gli viene portato.

Il martirio tanto desiderato
Il 10 febbraio gli viene annunciata la sua sentenza di morte. Scrive quindi la sua ultima lettera alla zia María, perché non se la sente di scrivere alla madre, ma ha comunque la forza di pensare che si sta avvicinando il momento che ha tanto atteso.
A notte inoltrata, i soldati gli spellano le piante dei piedi con chiodi acuminati, fino a farli sanguinare, poi lo spingono, scalzo, per le strade della città. Il ragazzo piange, prega, ma continua a inneggiare a Cristo Re e alla Madonna di Guadalupe.
Giunto al cimitero, gli viene indicata una fossa, la sua futura tomba. Per evitare di far sentire rumori di spari, il capo dei soldati ordina di pugnalarlo, ma a ogni colpo corrisponde un «Viva Cristo Re!». Esasperato, gli chiede se ha un’ultima parola per suo padre.
Ormai sul punto di morire, il ragazzo replica: «Che ci rivedremo in cielo! Viva Cristo Re! Viva Santa Maria di Guadalupe!». Solo uno sparo riesce a interrompere le sue grida. Cade così, nella sua fossa, e viene direttamente sepolto, senza bara né funerale.

La fama di santità e la beatificazione
I suoi resti mortali sono stati in seguito riesumati e posti nella cripta dei martiri, nel Tempio del Sacro Cuore. Dal 1996 sono venerati nella parrocchia di San Giacomo apostolo, in un altare laterale, vicino al battistero. Da sempre, nella mentalità dei fedeli, è stato considerato un martire, anche per la sua vita precedente l’ingresso nell’esercito cristero.
Il 20 novembre 2005, nel novantacinquesimo anniversario della rivoluzione messicana, José Sánchez del Río è stato beatificato a Guadalajara, insieme ad altri tredici martiri messicani. La sua fama di santità è perdurata e si è diffusa ben oltre il Messico, anche grazie al ritratto, seppur a tratti libero, che di lui viene presentato nel film «Cristiada».

Il miracolo e la canonizzazione
Essendo stato riconosciuto il suo martirio, non è stato necessario comprovare un miracolo per beatificarlo. Per la canonizzazione, invece, è valsa la guarigione inspiegabile, completa e duratura di Ximena Guadalupe Magallón Gálvez, nata nel 2008 e colpita, a pochi mesi dalla nascita da un ictus cerebrale.
Quando ai genitori venne fatto presente che la bambina avrebbe avuto appena tre giorni di vita, l’affidarono all’intercessione del Beato José. Giunto il momento di staccarla dai macchinari, la madre l’ha abbracciata per l’ultima volta, ma proprio in quell’istante Ximena aprì gli occhi e sorrise. Nel giro di pochissimo tempo, con stupore dei medici, ha ripreso le sue normali funzioni vitali e ora gode di ottima salute.
José Sánchez del Río è stato quindi canonizzato domenica 16 ottobre 2016 in piazza San Pietro da papa Francesco, insieme ad altri sei Beati.

Autore: Emilia Flocchini


José Sanchez Del Rio, che morì a 14 anni in difesa della fede cattolica per amore di Cristo Re e della Madonna, è stato canonizzato il 16 ottobre 2016 da Papa Francesco, il quale visitò la sua tomba durante il viaggio apostolico del febbraio scorso. Nel bellissimo film Cristiada questo giovane ed eroico martire compare con lo stendardo raffigurante la Madonna di Guadalupe. «Cara mamma», scrisse prima di morire sul biglietto che sarà rinvenuto sul suo corpo, «mi hanno catturato, stanotte sarò fucilato. Ti prometto che in Paradiso preparerò un buon posto per tutti voi. Il tuo José che muore in difesa della fede cattolica per amore di Cristo Re e della Madonna di Guadalupe».
Egli nacque il 28 marzo 1913 a Sahuayo de Morelos, in Messico, nel tempo in cui governava il Presidente Plutarco Elías Calles, a capo di un governo massonico e socialista, propugnatore di leggi anticattoliche e laiciste. La persecuzione ai danni della Chiesa messicana fu feroce, l’obiettivo era quello di annientarla: scuole cattoliche e seminari chiusi, sacerdoti sottoposti all’autorità civile, preti stranieri espulsi. La popolazione non poteva sfuggire alla scelta, o rinunciare alla fede o perdere il lavoro. Di fronte a tutto ciò si sollevò una ardita, valorosa e fiera insurrezione, così forte da ricordare la resistenza vandeana ai tempi della Rivoluzione francese. Un esercito, composto da contadini, operai, studenti… difese il proprio Credo e per farlo fu costretto ad impugnare le armi. Ecco, dunque, formarsi l’esercito dei Cristeros, sostenitori del Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. «¡Viva Cristo Rey!» il loro grido di battaglia e la Madonna di Guadalupe la loro bandiera.
Il fanciullo José impugna con orgoglio quello stendardo mariano il giorno della cruenta battaglia di Cotija. È il 6 febbraio 1928. Ha supplicato la madre di non essere lasciato a guardare, ma di poter far parte della milizia di Cristo. Ottenuto il consenso, si prepara ad affrontare anche la morte: tutto per Cristo Re. Diventa così la mascotte dei Cristeros, che lo chiamano Tarcisius come il santo adolescente di Roma, che subì il martirio mentre portava l’Eucaristia ai cristiani in carcere: scoperto, aveva stretto al petto il Corpo di Gesù per non farlo cadere in mani profane e venne barbaramente ucciso, come lo sarà anche il prossimo san José.
Infatti, quando, nella concitazione della battaglia frontale un proiettile abbatte il cavallo del suo comandante, il ragazzo messicano gli offre il suo e tenta di coprirgli la ritirata a colpi di fucile, ma il tentativo fallisce, ed entrambi vengono catturati. José finisce prigioniero nella chiesa del suo paese, Sahuayo, profanata dai soldati federali e trasformata in un pollaio. Vedendo un tale sacrilegio, José non trattiene la sua santa rabbia e tira il collo a qualche gallinaceo, ma il gesto provoca una tragica rappresaglia. Alcuni soldati lo picchiano, lo torturano, tuttavia non lo piegano e non lo tacciono. A ripetizione insistente continua a formulare il grido di battaglia: «¡Viva Cristo Rey!».
L’8 febbraio è costretto ad assistere, come ammonizione, all’impiccagione di Lázaro, un altro ragazzo che era stato imprigionato insieme a lui. Il corpo del giovane, ritenuto morto, viene trascinato nel vicino campo santo, dove è abbandonato; tuttavia si tratta di morte apparente, infatti Lázaro si riprende e fugge via. La tenace e ostinata resistenza di José, che nessuna sofferenza è in grado di flettere, diventa una questione da risolvere al più presto per i persecutori. Gli aguzzini cercano di fargli rinnegare la fede promettendogli, oltre alla libertà anche del denaro, una brillante carriera militare, persino un espatrio nei ricchi Stati Uniti d’America. Ma la sua risposta è una sola: «Viva Cristo Re, viva la Madonna di Guadalupe!».
I senza Dio escogitano un’alternativa: chiedere un riscatto ai genitori, ma José li convince a non pagare. Padre e madre, autentici cattolici, che sanno vedere oltre la contingenza presente e la finitudine terrena, comprendono la giustizia filiale di quella richiesta. José riesce ancora a ricevere una volta la Santa Comunione prima del 10 febbraio 1928, quando verso le 23 i militari, con spietato odio, spellano le piante dei piedi del santo, costringendolo a camminare sul sale, per poi spingerlo verso il cimitero.
Mentre il giovane continua a gridare il nome di Gesù e di Maria, uno dei soldati lo ferisce accoltellandolo, e per l’ultima volta gli chiedono di rinnegare il suo Credo, ma egli rifiuta ancora e domanda di essere fucilato, continuando a invocare a gran voce gli immacolati Nomi. Vorrebbero finirlo a pugnalate, ma il capitano, innervosito da quelle sante grida, estrae la pistola e gli spara. José spira, ma dopo essere riuscito a tracciare una croce sul terreno con il proprio sangue.
Testimone, José Sanchez Del Rio, di fondamentale importanza per questi tempi della religione dell’uomo che si fa dio e non della Santissima Trinità, dove il pensiero massonico ha esteso il suo potere dagli “illuminati” alla cultura generale e mentalità comune, a tal punto da far apparire una Madre Teresa di Calcutta, anch’essa canonizzata il 4 settembre 2016, simbolo del moderno pensiero solidale, ignorando come essa agì dopo aver ascoltato Cristo in più visioni.
Era il 10 settembre 1946 quando avvertì la Voce di Gesù: «Voglio missionarie indiane Suore della Carità, che siano il mio fuoco d’amore fra i più poveri, gli ammalati, i moribondi, i bambini di strada. Sono i poveri che devi condurre a Me, e le sorelle che offrissero la loro vita come vittime del Mio amore porterebbero a Me queste anime», perché «Ho sete di anime». E migliaia, migliaia ne donò Madre Teresa a Dio.
«Sacro Cuore di Gesù, confido in Te. Sazierò la Tua sete di anime» scriverà all’arcivescovo Périer il 27 marzo 1957. Alla cerimonia dei premi Nobel del 1979 gridò contro l’aborto legalizzato e alla domanda che le venne posta in quella sede «Che cosa possiamo fare per promuovere la pace mondiale?», ella rispose senza esitazione: «Andate a casa e amate le vostre famiglie».
Donare la vita a Dio, sia in modo cruento che in modo incruento, è il segreto della Comunione dei Santi.